
26 Lug La Perdita di chance nel diritto vivente.
Molto spesso si sente dire che una persona intende essere risarcita perché ritiene di aver perduto una chance, un’occasione della vita, che sia di salute o lavorativa o ancora di natura familiare.
Il risarcimento, come più volte stabilito dalla Corte di Cassazione, non è in re ipsa anche quando si assumono violati diritti costituzionalmente garantiti sicché non potrà prescindersi dal dimostrare il danno concreto che sia conseguenza immediata e diretta del comportamento illecito, dell’inadempimento contrattuale, eventualmente anche mediante presunzioni.
Il danno da perdita di chance peraltro è oggetto di un vivo dibattito dottrinale e giurisprudenziale che, talvolta lo indentificano nella mera occasione persa, di per sé meritevole di ristoro (tesi ontologica-danno emergente) economico, in altri casi viene invece sostenuta la necessità di provare la certezza anche futura del pregiudizio per effetto dell’illecito o dell’inadempimento di terzi (tesi eziologica, art. 2043 c.c.) con tutto ciò che ne consegue in termini di oneri probatori a carico dell’istante-danneggiato (probatio diabolica).
Quest’ultima è una tesi minoritaria che comunque ha avuto seguito in alcune pronunce di legittimità e di merito che, probabilmente al fine di evitare il dilagare di richieste risarcitorie (soprattutto in campo sanitario), hanno stabilito che il danno da perdita di chance – per il principio dell’integralità del risarcimento (che deve però evitare duplicazioni; vedi note sentenze “di San Martino” della Corte nomofilattica) – potrà essere risarcito quando sia data la prova del nesso di causalità e della ragionevole probabilità del suo avverarsi e non in quanto concreta possibilità perduta (Cass. 9598/1998; Corte di App. Roma n. 3188/2018; Tribunale di Roma sent. del 22/04/1998). In altri termini si tratterebbe di danno emergente sussistente nelle conseguenze determinate dall’occasione persa per illecita responsabilità altrui.
La tesi più permissiva, maggioritaria, trova ovviamente diversi riscontri nella giurisprudenza di merito e di Legittimità (ex multis Cass. n. 29829/2018; Cass. n. 4400/2004) che invece ritiene la perdita di chance foriera di danno per lucro cessante, ovvero considera autonomamente risarcibile l’occasione perduta per colpa di terzi quando ovviamente la stessa avrebbe consentito concretamente ed effettivamente di ottenere un bene della vita od un risultato favorevole (non meramente potenziale), secondo il principio del “più probabile anziché non”.
La lesione dell’occasione o della chance consiste nella perdita della possibilità di ottenere un risultato utile del quale sia provata la sussistenza ed è autonomamente valutabile come danno non futuro e potenziale (lucro cessante) ma concreto ed attuale in proiezione futura (danno emergente). Quindi il risarcimento relativo al mancato conseguimento del risultato sperato rappresenterebbe ontologicamente un ristoro diverso rispetto alla perdita di chance presupposta.
Sta all’interprete propendere per l’una o per l’altra tesi stando ben attento a non alimentare illusioni rispetto a pretese che non siano sussumibili nella perdita concreta ed attuale di una legittima occasione di ottenere un risultato, impedito dalla condotta illecita di terzi.